giovedì 10 gennaio 2013

Freezer Bowl

A Cincinnati, sul fiume Ohio, alla fine degli anni '60, iniziò la costruzione di un impianto stile cookie-cutter (lo "stampino" che indica la sua forma circolare) per ospitare le due maggiori realtà sportive della città: i Reds di baseball, ed i freschi "nati" in casa NFL, ovvero i Bengals. Le due squadre giocavano in impianti anteguerra (i primi al Crosley Field sin dal 1912, i secondi al Nippert Stadium, edificato nel 1924).
Il Riverfront Stadium, appunto sul fiume, avrebbe dato una casa finalmente degna a due squadre che negli anni '70 avrebbero scritto pagine importanti delle rispettive leghe (compresi i due titoli mondiali dei Reds). L'impianto oggi non esiste più, demolito nel 2002 per far posto al Great American Ball Park in cui giocano solo i Reds, mentre i Bengals si sono trasferiti dal 2000 nell'imponente Paul Brown Stadium edificato a trecento metri di distanza, sempre sul fiume.
Trentun'anni fa, in questo stadio, si è consumato quello che gli appassionati hanno subito ribattezzato il Freezer Bowl per il feroce freddo che attanagliò l'impianto per tutta la durata della gara, ovvero l'AFC Championship 1981 tra i Bengals ed i Chargers. Secondo i metodi di calcolo della temperatura percepita allora in uso, "grazie" ad un vento incanalato dal fiume, che si spingeva oltre i 40 km/h, i giocatori scesero sul terreno e si diedero battaglia a circa -50°. Il terrificante freddo ed il vento non erano nuovi per l'head coach di Cincinnati, Forrest Gregg, che come OT era sceso in campo nell'Ice Bowl del 1967 tra GB e Dallas, forse memore di quello che era successo in Wisconsin, Gregg condusse i Bengals ad una vittoria netta (27-7) specialmente nel secondo tempo quando i Chargers non andarono sul tabellone per gli interi 30'.
Era certo molto diverso il contesto rispetto solo ad una settimana prima, quando San Diego aveva vinto una epica battaglia all'overtime a Miami con 26° di umide nuvole all'Orange Bowl, quella che più tardi sarebbe diventata "The Game No One Should Have Lost".
Cincinnati, invece, giunse al suo primo Superbowl sulle ali di quella vittoria, ma non ci fu nulla da fare per le tigri dell'Ohio, sconfitte al Silverdome dai San Francisco 49ers di Joe Montana.

domenica 6 gennaio 2013

Lou Holtz

"If what you did yesterday seems big, you haven't done anything today."

Louis Leo Holtz, quest'anno compie 75 anni. Grande motivatore, ormai impegnato a fare commenti tecnici, si è ritirato dalla carriera di head coach dopo essere riuscito in una impresa epica quale portare sei diversi programmi sportivi collegiali ad un Bowl (William&Mary, NC State, Arkansas, Minnesota, Notre Dame e South Carolina), e quattro nel top 20.
Campione nazionale per consenso con Notre Dame nel 1988 dopo la vittoria nel Fiesta Bowl, a vent'anni da questa vittoria è stato inserito nella College Football Hall of Fame.
Auguri coach!

venerdì 4 gennaio 2013

Don Shula

Immaginate di essere dei ragazzetti di 12-13 anni e di tifare per una specie di squadra neopromossa ma ambiziosa, e di vedere messo sotto contratto uno dei migliori coach del campionato, poi crescete, vi diplomate, e il coach incredibilmente è ancora coach lì da voi.
Poi vi iscrivete all'università, la finite con qualche lungaggine, ed il coach è ancora lì. Passate un paio di anni a cercare lavoro, lo trovate se dio vuole, e il coach sta ancora allenamento la vostra squadra.
Vi fidanzate, vi sposate, magari avete qualche figlio, e il coach è ancora lì. andate per i quarant'anni e il coach ancora allena la stessa squadra, e tutti gli anni, tranne un paio di sfortunate stagioni, è sempre riuscito a fare record positivi.
Situazioni di altri tempi, vero? Anche se il coach di cui stiamo parlando è Don Shula, un "ragazzo" che ha compiuto 83 anni e che festeggerà tra poco i 50 anni dal suo primo incarico di capo allenatore.
Una specie di leggenda nel football professionistico, che ha raggiunto nella sua carriera durata trentacinque anni, ben sei superbowl vincendone due e perdendo quello che è poi diventato la storica "Garanzia" ovvero Jets-Colts 17-6, il primo superbowl vinto da una squadra AFL.
Terminata la carriera professionistica nei Redskins a 27 anni, a trenta aveva assunto l'incarico di coordinatore difensivo a Detroit, correva l'anno 1960 e dopo tre stagioni sul lago, la sua ex squadra dove aveva militato come cornerback, i Colts, lo ingaggiò facendolo diventare, a 33 anni, il più giovane capo allenatore della storia, non senza accese polemiche per la sua presunta inesperienza.
Johnny Unitas, suo compagno di squadra nel 1956, divenne la sua arma per condurre i Colts a sette ottime stagioni (record di 71-23-4) macchiate indelebilmente da due sconfitte in post season, dove Baltimore partiva favorita: il Championship del 1964 dove i biancazzurri persero traumaticamente per 27-0 dai Brown, e soprattutto il Superbowl III, quello della "Garanzia". Nel 1965 fu invece la sfortuna a tramare contro i Colts nei playoff quando furono costretti a schierare il runningback Tom Matte in posizione di QB per il contemporaneo infortunio di Unitas e della sua riserva Gary Cuozzo.
Era ora di cambiare aria, così nell'anno della fusione tra NFL ed AFL, Shula passò ai Miami Dolphins, iniziando un percorso che sarebbe turato un quarto di secolo, ed avrebbe ricompreso quelli che attualmente sono gli unici due titoli della franchigia della Florida, compresa la Perfect Season del 1972, guidando quarteback del calibro di Bob Griese e Dan Marino. Il suo record finale, dopo tutti questi anni, 328-156-6, si può considerare veramente eccezionale, se a questo si aggiunge che ha portato Miami 16 volte alla postseason in 26 stagioni.
Sebbene goda di ottima salute, gli hanno già intitolato un impanto (alla John Carroll University), una expressway a Miami, ed un bowl, quello che si gioca tutti gli anni tra Florida Athlantic University e Florida international University. Potrete trovare una sua statua fuori dal Sun Life Stadium.